Femminicidio

femminicidio carderiSe ne parla sempre più pressantemente, è la violenza contro le donne, fenomeno che ogni giorno occupa uno spazio nella cronaca.

Un vero e proprio scacco ai diritti umani che non conosce confini, geografia, cultura ricchezza, età o religione.

Ha dimensioni mondiali come quelle del femminicidio.

Neologismo che sottintende tutte le forme di violenza rivolte contro la donna in quanto tale e volte al suo annientamento psichico, morale, fisico e sessuale.

Il femminicidio è sancito dall’art.1 della Convenzione di Belém do Pará come “qualsiasi atto o comportamento basato sul genere che causi morte, danni o sofferenze fisiche, sessuali o psicologiche alla donna, sia in ambito pubblico sia privato”.

È stato definito in quanto tale per la prima volta in Messico per qualificare ciò che da oltre 15 anni accade nello Stato di Chihuahua dove, dal 1993, più di 460 donne, sono state assassinate. Nella maggior parte dei casi, le vittime, prima di morire per strangolamento o percosse, sono state sequestrate per giorni, stuprate, mutilate, sottoposte a umiliazioni e torture.

Una esperienza che per le caratteristiche d’intenzionalità inumane, degradanti e crudeli, non è paragonabile a nessuna altra esperienza traumatica.

Le conseguenze devastanti e destrutturanti dell’esposizione a un evento di gravità oggettiva così estrema, che minaccia la vita e la propria integrità fisica, creano nelle poche sopravvissute un senso di frammentazione che mina la propria unicità bio-psico-fisica.

La violenza subita licita aspetti post-traumatici come senso di impotenza, immagine negativa di sé, perdita di fiducia nel prossimo, timore di pericolo incombente, paure e fobie legate al trauma, sentimenti di vergogna, colpa, impotenza e autodenigrazione, disturbi del sonno e dell’alimentazione, depressione, ansia, difficoltà ad avere rapporti sessuali, istinti suicidi. La rabbia e l’aggressività unite allo smarrimento e alla perdita della capacità di autodeterminazione possono dar luogo a comportamenti di evitamento, autolesivi o ad acting-out associati ad  abuso di farmaci, alcol e droghe.

Da dove nasce tutta questa aggressività maschile il cui unico scopo è quello di annientare la personalità della donna?

Il femminicidio è il sintomo dell’elevato livello di degrado sociale e dell’estremo sfruttamento e discriminazione di un contesto socioeconomico sfavorevole alle donne che ne alimenta la dipendenza economica. Sono tutte Donne inchiodate agli stereotipi maschili più vieti che ne banalizzano il ruolo e la relazione, calpestano il diritto di libertà di scelta e giustificano atrocità sessuali e no.

Dietro spesso si nasconde il limite di una cultura prettamente misogina basata su uno sbilanciamento dei poteri tra uomo e donna che offuscando il limite della violenza la considera quasi normale. Una mentalità patriarcale che stigmatizza le vittime consolidandone l’immagine culturale come esseri inferiori. Povere donne la cui vita scorre dentro i confini angusti della violenza fisica, psicologica, economica, istituzionale, che le consacra al ruolo sociale subordinato impostole. Vittime di un controllo sociale che ostacola la realizzazione delle pari opportunità tra uomo e donna sancita dall’art. 13 della Dichiarazione sulla politica contro la violenza verso le donne. Vittime di una violenza che permette agli uomini di disporre della loro vita, delle loro menti e dei loro corpi mutilandoli.

A 14 anni di distanza dalla Piattaforma di Pechino approvata dalla IV° Conferenza mondiale sulle donne del 1995, che impegnava il Governo e le istituzioni italiane a prevenire e contrastare tutte le forme di violenza fisica, sessuale e psicologica contro le donne, dai maltrattamenti familiari al traffico di donne e minori a scopo di sfruttamento sessuale sembra esserci oggi nelle percezioni e nelle rappresentazioni sociali una maggior consapevolezza sulla gravità del problema.

 

 dr.ssa Anna Carderi