I destinatari degli interventi di supporto psicologico nelle situazioni di emergenza non sono solo le persone che hanno direttamente e concretamente subito l’evento traumatico, ma anche quelle che hanno subito in modo diverso la minaccia alla integrità fisica e psichica dei propri cari come i parenti delle vittime.
Tra le vittime vanno riconosciuti i soccorritori, i professionisti e i volontari. Questi, operando sulla scena dell’evento, pur sviluppando livelli di tolleranza particolarmente alti ai fattori di stress, sono fortemente a rischio sul piano psico-traumatico e quindi di andare in contro ad una “traumatizzazione vicaria” (Dolce, Ricciardi e Tarantolo, 2005).
Hyroshima, Chernobyl, lo tsunami, l’eruzione del Vesuvio, l’11 Settembre con l’attentato alle due Torri e l’attuale terremoto che ha colpito e in parte devastato l’Abruzzo, lambendo pure Lazio ed Umbria, sono solo alcuni degli eventi a cui negli anni tutti noi abbiamo assistito e di cui tutti noi siamo stati vittime più o meno consapevoli. L’effetto devastante può, infatti, non fermarsi al momento e al luogo in cui l’evento si verifica, ma come un’onda propagarsi ed investire la collettività. Gli eventi critici collettivi comportano molteplici situazioni di vittimizzazione a cui corrispondono altrettante tipologie di vittime. Tra queste la letteratura riporta:
· le “vittime di primo livello”, nella quale è possibile collocare le persone che hanno subito direttamente l’evento critico;
· le “vittime di secondo livello”, cui fanno parte parenti delle vittime di primo livello;
· le vittime di “terzo livello”, nella quale ritroviamo i soccorritori, professionisti e volontari, chiamati ad intervenire sulla scena dell’evento traumatico, che a loro volta riportano danni psichici per la traumaticità delle situazioni a cui devono far fronte (Cusano, 2002).
Questo perché le reazioni individuali, come paura, angoscia e panico in alcuni casi, sono tanto intense da avere sulla collettività, un effetto di amplificazione e di contagio emotivo.
La quantità e la qualità della reazione soggettiva, ossia il tipo e l’intensità della risposta, dipendono da una serie di variabili, tra le quali particolarmente importanti sono:
- la natura dell’evento traumatico,
- il livello di coinvolgimento,
- le caratteristiche del soggetto e del sistema di supporto,
- la qualità e la tempestività dell’intervento di supporto psicologico.
Abbiamo finora visto la costellazione di sintomi associata ad eventi di maxi emergenza.
Descrivere la totalità dei fenomeni psicologici caratteristici delle situazioni di emergenza è impresa ardua.
È innegabile che l’evento traumatico lascia in chi lo subisce segni tangibili che si manifestano non solo a livello fisico ma anche e soprattutto a livello psicologico.
L’essere testimone o il venire a conoscenza (vittime di secondo grado) della morte violenta o inaspettata, di grave danno o minaccia di morte o lesioni sopportate da un membro della famiglia o da altra persona con cui si è in stretta relazione, ha lo stesso effetto traumatizzante di chi lo ha vissuto in prima persona.
Sembra infatti che il venire a conoscenza della morte violenta, e per questo improvvisa e inaspettata, di un membro della famiglia o di un’altra persona, con cui si era in stretta relazione, comporti una risposta di paura intensa. Questa, unitamente al senso di impotenza, lascia, in chi l’ha subito, segni tangibili che si manifestano a livello psicologico, dando luogo a quadri psicologici o psicopatologici.
I familiari delle vittime e le persone eccessivamente coinvolte rischiano il cosiddetto trauma vicario.
Esso consiste nella possibilità di vivere in prima persona il trauma anche se non c’è stato contatto diretto con chi l’ha subito in prima persona.
Per di più, anche chi, come i soccorritori e gli operatori sanitari (vittime di terzo grado), lavora in condizioni di emergenza e opera sulla scena dell’evento, è fortemente a rischio sul piano psico-traumatico tanto da andare in contro a una “traumatizzazione vicaria” (Dolce, Ricciardi e Tarantolo, 2005). La traumatizzazione vicaria del personale socio-sanitario è strettamente associato alla cura e alla relazionalità che si è sviluppata con il paziente traumatizzato (Sgarro, 1997)
Il contatto e l’interazione con la vittima di primo grado può impattare negativamente sull’operatore eccessivamente coinvolto e identificato evocando delle particolari emozioni o fantasie che perpetuano anche dopo l’incontro.
- iperinvestimento e invischiamento porta l’operatore a iperattivarsi in modo accorato.
- atteggiamento distaccato e ostile
Tutte queste modalità proiettive possono essere lette come delle contromisure difensive che paradossalmente proteggono l’operatore dal distress, dallo stress da incidente critico (CISM) e dal rischio della traumatizzazione vicaria (Sgarro, 1997).
I sintomi della traumatizzazione vicaria includono: depressione, cinismo, stanchezza, fatica, senso di inutilità, irritabilità e aggressività, sintomi psicosomatici, insonnia, problemi con parenti e amici, crisi familiari, apatia, ritiro, alienazione, pensieri di reiezione della propria professione, crisi ideologiche (Pearlman, Saakvitre, 1994).
dr.ssa Anna Carderi