Forma mentis della violenza

Invisibili perché fuori dal nostro immaginario quotidiano, sono le vittime della violenza.

Quello che per alcuni è solo un rumore di fondo, eco di realtà lontane è in realtà un vero e proprio scacco ai diritti umani, un evento traumatico e stressante che scatena in chi lo subisce una rottura dell’equilibrio tra l’ambiente e le capacità di adattamento dell’Io.

Nel comune sentire il termine violenza ci rinvia necessariamente all’abuso sessuale sulle donne o sui bambini.

Nel nostro immaginario emerge lo spettro della pedofilia, dell’incesto, della violenza carnale.

Eppure nella definizione di violenza rientrano il sopruso fisico e sessuale, come pure quello psicologico ed economico.

Come a dire che la violenza non è solo quella che lascia segni sul corpo.

Joseff Breuer e Siigmund Freud (1895) affermavano che “Può agire come trauma qualsiasi esperienza provochi gli effetti penosi del terrore, dell’angoscia, della vergogna, del dolore psichico, e dipende ovviamente se l’esperienza stessa agisce come trauma”.

Un atto di violenza è riconoscibile nella mancanza di rispetto che colpisce l’identità della persona, nell’insulto, nella critica continua, nell’umiliazione o nella ridicolizzazione, o in alcuni comportamenti quali seguire, controllare, limitare, impedire di vedere parenti e amici, o di coltivare i propri interessi; minacce e molestie più o meno esplicite che possono rimanere tali o evolvere in veri e propri atti di violenza fisica, riconducibili ai reati di percosse, lesioni o abusi sessuali.

Le violenze sono spesso avvalorate da motivi culturali legati all’appartenenza a un gruppo etnico, razziale o religioso come è il caso delle mutilazioni genitali femminili o del femminicidio.

Il movente storico alla base degli episodi di violenza riguarda uno sbilanciamento dei poteri tra uomo e donna che, offuscando il limite della violenza, la considera quasi normale.

Lo stesso sbilanciamento di poteri che nei secoli, cambiando gli attori, è stato e tuttora è il movente della soggezione dell’individuo in genere.

Tra gli esempi, ostaggi, prigionieri di guerra,  sopravvissuti ai campi di concentramento e sopravvissuti ad alcuni culti religiosi, oppure persone soggette a sistemi totalitari tra cui i sopravvissuti a maltrattamenti e torture atte a disumanizzare e annientare la personalità delle vittime.

Altra forma di violenza riguarda l’abbandono di persone minori o incapaci, per malattia, per vecchiaia, di badare a se stesse. Come lo è la comunicazione di una diagnosi soprattutto se a carattere infausto fatta in modo  maldestro  e quindi traumatizzante il paziente.

Dr.ssa Anna Carderi