Le parafilie sessuali

parafilie

Prima di affrontare il tema delle perversioni sessuali vi invito a riflettere sul fatto che scenari perversi possono essere presenti in ognuno di noi senza dover necessariamente sconfinare in comportamenti sessuali inadeguati o aberranti o essere categorizzati come tali.

Lo stesso Freud osservava come elementi di perversione esistono nella sessualità delle persone e persino nel bambino tanto da meritarsi l’appellativo di perverso polimorfo.

Esistono una vasta gamma di comportamenti che rientrano nella normalità ma che semplicemente si discostano dagli standard culturali dominanti di tipo sociale, familiare e religioso.

La sessuologia più recente ha dimostrato che non esiste un confine netto tra normalità e perversione e che quest’ultima va intesa come fenomeno sociale e non meramente clinico. È ormai superata la concezione freudiana secondo cui la focalizzazione della libido su zone extragenitali era da considerarsi perversa.

L’attività sessuale normale include una serie di variazioni extragenitali che sono espressione di componenti pregenitali: a rigore, anche il desiderio di baciare è connesso all’attività di una zona erogena non genitale, così come il desiderio di guardare il corpo del partner; sono comuni anche l’erotizzazione di regioni del corpo non genitali e le tendenze parziali; ma la sessualità normale integra questi bisogni e li usa, in definitiva, a favore della relazione e della specie.

Nei soggetti parafilici, invece, l’investimento genitale è rifuggito perché eccessivamente temuto.

In sostanza, non è la pratica perversa in sé a giustificare una diagnosi di parafilia: quando essa viene espressa in funzione della relazione oggettuale, in accordo col partner secondo il principio della convenienza, inteso come ciò che è gradito ad entrambi, allora non è possibile parlare di parafilia, anzi, la pratica perversa può avere una funzione che consolida la relazione e crea l’intimità, più che evitarla.

In definitiva, le parafilie sono distorsioni di componenti che sono a loro volta parte integrante del comportamento sessuale normale; ciò che le rende distorte è che non sono espresse in funzione della relazione, ma servono ad evitarla.

L’unico parametro attendibile per misurare il fenomeno da un punto di vista clinico e transculturale è il grado di soddisfacimento. Lo stesso Borneman sosteneva che un comportamento è definibile come perversione quando non può essere mai soddisfatto.

Sono d’accordo con L. J. Kaplan nell’affermare che le perversioni non sono correlate al desiderio erotico ma al modo in cui l’eccitamento sessuale è impiegato per regolare il desiderio, le relazioni d’oggetto, le identificazioni di ruolo e di genere, l’aggressività, la vergogna, l’ansia e il senso di colpa.

Accanto alle difficoltà di stabilire il passaggio sfumato tra parafilie e comportamento sessuale normale, esistono altri punti controversi che riguardano la stessa eziologia delle perversioni.

Nell’insieme, nella genesi delle parafilie siamo ancora molto lontani dall’individuare un fattore causale definito; allo stato attuale, l’ipotesi eziopatogenetica più ampia e prudente considera centrale l’influenza combinata della biologia, dell’ambiente, e dello sviluppo sintetico-integrativo della mente, ma le vere ragioni del comportamento perverso rimangono oscure, quasi a ricordare che, in campo sessuale più che in altri ambiti, il comportamento umano è molto più della somma di biologia ed esperienza.

In conclusione possiamo affermare che le parafilie si situano in un continuo tra norma e patologia e nella clinica è utile valutare, accanto ai criteri diagnostici, tutta una serie di variabili che riguardano fondamentalmente la capacità di relazionarsi con l’oggetto.

Questo tipo di concezione più ampia rispetto agli inquadramenti nosografici può essere utile al clinico per evitare il rischio di medicalizzare le varianti del rapporto sessuale, considerando tout court patologica ogni pratica al di fuori del coito e, sostanzialmente, per evitare di imporre al paziente un modello di vita sessuale artificioso.

    dr.ssa Anna Carderi