Sai Mamma … il bambino quello nuovo … Mario …”
“Si, Andrea. Quello che non gioca mai, perché nessuno vuole giocare con lui, che sta sempre solo!”
“Sai Mamma, lui ha tanti problemi.
Oggi l’ho aiutato a fare matematica e quando abbiamo finito mi ha guardato e mi ha sorriso.
Gli sono simpatico.
Poi a ricreazione ho giocato un pò con lui e all’uscita di scuola, prima di salutarci, ci siamo fermati davanti ai gradini, lui mi ha sorriso e poi ha spinto la mia carrozzina.
Mamma, oggi sono felice!”
Chi è il bambino problematico? Mario o Andrea?
La risposta sembra scontata.
Eppure emerge chiaramente che il diverso non è il nostro Andrea ma è Mario! È lui quello escluso e ignorato dal gruppo e che ha difficoltà ad entrare nel gioco e non Andrea.
Eppure, nonostante tutte le difficoltà di Mario, la tendenza di noi adulti, a differenza dei bambini, alla fine è quella di nutrire commozione, dispiacere o compassione, a seconda dei casi, proprio per Andrea.
Riconosciamo a lui, in quanto disabile, il bisogno di essere aiuto.
Questo stereotipo fa si che la disabilità e non il bambino diventi protagonista della scena, annullando tutte le sue peculiarità e capacità, talenti e passioni.
Ciò che invece dobbiamo comprendere è che prima di essere disabili sono figli come tanti e che come tali sono uguali nel loro bisogno di sperimentarsi e di essere autonomi. Sono uguali nel bisogno di avere una guida che li sostenga nell’affrontare le difficoltà quotidiane e a raggiungere i propri obiettivi.
Allo stesso modo, chi più, chi meno, soffrirà nell’adolescenza per le umiliazioni e il rifiuto dei coetanei o per un amore non corrisposto. Parimenti incontreranno persone che sapranno apprezzarli e stimolare la loro voglia di conoscere e imparare o che al contrario mineranno la loro autostima.
Dicendo ciò non voglio sottovalutare la disabilità.
Voglio solo evidenziare come spesso l’idea che ne abbiamo ci faccia vedere la persona disabile come colei da aiutare o peggio come un peso per la società, perché debole, malata, menomata sia fisicamente sia psichicamente, immatura e irresponsabile, ecc, allontanandoci dal fatto che possa esistere un’autonomia, un ruolo attivo e di lotta unitamente ad una voglia di vivere a pieno la propria esistenza pur non essendoci l’indipendenza fisica.
In fin dei conti l’handicap è in ognuno di noi. È nelle nostre paure e nelle nostre limitazioni culturali. La vera disabilità è nelle nostre rinunce. La vera disabilità è quella dell’anima che non comprende (Gladys Rovini).
dr.ssa Anna Carderi