Intervento di supervisione lavorativa ed emotiva

intervento di supervisioneL’efficacia della supervisione è intrinseca al suo essere sia una sessione di consulenza sia una sessione di monitoraggio clinico dove tutti gli operatori coinvolti a vario titolo nella gestione del singolo caso clinico s’incontrino periodicamente, per fare il punto sui risultati ottenuti.

Valutando i livelli d’efficacia ed efficienza delle diverse strategie adottate nella gestione dei singoli aspetti clinici, sanitari, psico-relazionali e socio-riabilitativi e cercando di integrare le strategie terapeutiche con ulteriori interventi, qualora risultasse necessario.

Compito della supervisione è quello di rendere consapevoli gli operatori dei processi di negazione e svalutazione dei soggettivi vissuti nei confronti della realtà emotiva dell’utenza e di scissione degli aspetti emotivi ed operativi, delle loro fantasie, che al contempo sono sia salvifiche che espulsive, al fine di riconoscerle ed elaborarle all’interno della propria realtà emotiva.

La supervisione diviene così lo spazio di contenimento e chiarificazione che consente di ostacolare la messa in atto di tutti quegli automatismi che si inseriscono nel rapporto malattia-assistenza quali il sovraccarico emotivo-oppositivo e l’eventuale perdita della propria identità personale che il costante contatto con il dolore possono comportare.

La supervisione diviene lo spazio concreto dove tutti gli operatori, coinvolti a vario titolo nella gestione del singolo, s’incontrano periodicamente in modo da dare voce alle loro difficoltà, ai loro sensi di colpa, ai loro bisogni, al loro senso di impotenza e al timore di essere inadeguati.  Sentimenti questi, che insorgono in chi deve educare una persona ad essere responsabile della propria qualità di vita e vive l’ambiguo dilemma di come intervenire e calibrare correttamente i propri interventi relazionali in modo da non creare fraintendimenti e frustrazioni che ostacolino l’aderenza al trattamento.

Se pensiamo al lavoro di “cura” a cui rispondono gli operatori, ci rendiamo conto di come l’inevitabile coinvolgimento che viene a crearsi all’interno della relazione e nell’ascoltare ciò che l’altro esprime comporta una rivisitazione e messa in discussione della propria immagine e dei nostri schemi, mettendo a nudo le nostre zone d’ombra.

Questa dimensione pedagogica della relazione educativa profondamente implicante rivela al Care Giver come non si può guardare l’altro senza tenere conto che c’è anche lui dall’altra parte.

La consapevolezza così acquisita lo aiuterà a capire sia i meccanismi che scattano quando si vanno a toccare certi nodi, sia a cambiare radicalmente l’ottica da cui predisporre riflessioni e interventi educativi individualizzati, graduati e differenziati secondo le reali esigenze di maturazione dell’utente.

In tal senso il paziente non è più colui che non possiede i requisiti per vivere al meglio la propria vita ma colui per il quale è necessario individuare le strategie più adatte a preservare una alta qualità di vita.

La supervisione si trasforma così nell’opportunità di elaborare la dimensione di una relazione che è costituita da due poli: l’operatore e l’utente e ciò che quella coppia crea di volta in volta con il reciproco interagire, sentire e cogliere dell’altro.

Dr.ssa Anna Carderi

Tratto da:

Carderi A. Aspetti Psicologici della Malattia Cronica in Dalla Mente al Corpo. Psicologia clinica applicata alle professioni sanitarie, (a cura di R Gorio), Kappa ed., 2009.

Gorio R.Tubili C., Carderi A. Aspetti psicologici del diabete tipo I. Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini, vol. 10, n.1, Gennaio-Marzo 2008.