Nel lutto l’impossibilità di realizzare il desiderio di “riavere accanto la persona cara ” è il nodo centrale a cui dobbiamo far fronte.
Il ricordo della persona che ci ha lasciato è spesso pervaso da un’evidente instabilità emotiva connessa alla pervasiva sensazione che la vita sia vuota o priva di senso senza di lei.
L’evento luttuoso concorre ad instaurare in chi lo subisce un senso di diminuzione delle prospettive future.
Il senso di precarietà che ne scaturisce può licitare una risposta di allarme e di malessere profuso che si mobilizza nell’espressione dei fatti ricordati e nei sentimenti scaturiti dalla perdita.
Il peso emozionale dell’evento è percepito come “opprimente e doloroso” e può determinare l’incrinatura dell’armonia psichica comportando modificazioni dell’assetto psicologico inerentemente l’adattamento, gli stati emotivi e l’efficienza.
A parità di evento ognuno di noi reagisce al lutto e cerca di cauterizzare il dolore con modalità diametralmente opposte che vanno dal pianto a dirotto al mutismo emotivo.
Spesso dopo l’evento la tendenza è quella di chiuderci nel proprio dolore trascurando così le relazioni sia familiari sia extrafamiliari e rifuggendo dai momenti di aggregazione.
La persona può trincerarsi dentro un dolore senza fine e intimamente taciuto che assume connotazioni consolatorie e rivendica l’esserci di chi non c’è più.
Sono presenti reazioni ansiose soprattutto legate a stimoli specifici inerenti l’evento luttuoso e la visione di sé, della realtà e del futuro può diventare decisamente pessimistica.
Una situazione, questa, fase specifica, che, pur nella sua iniziale gravità, tende a stemperarsi nel tempo portando gradualmente la perdita alla sua elaborazione.
Ma cosa accade quando il lutto non viene elaborato?
Si palesa un disagio clinico contraddistinto da una persistente nostalgia del caro estinto, connessa a un profondo e non gestibile dolore e al modo in cui egli ha perso la vita.
Dal momento della perdita, riportiamo difficoltà o riluttanza nel perseguire i nostri interessi o nel fare piani per il futuro. Quello che prima ci entusiasmava ora ha perso valenza.
La realtà appare congelata nella ripetizione dell’evento.
Nulla sembra essere cambiato di tutto ciò che è legato alla figura di chi ci ha lasciato.
Tutto è pervaso da una sensazione di vuoto e di inutilità.
Ci sentiamo fermi al centro di uno spazio ben delineato incentrato sul defunto e che confina fuori il mondo esterno.
Un palese stato di freezing che non ci consente di fare progressi e ci tiene lontano dagli altri impedendoci di dare seguito allo sblocco delle spinte evolutive, collocandoci in bilico tra il trattenersi in questo stato di immobilità spazio temporale e l’intraprendere il passo successivo consentendoci così di andare avanti nella vita, nonostante tutto.
Si va così delineando un disagio sempre più marcato che si esplica nella compromissione della funzionalità psicofisica, lavorativa e relazionale compatibile con una diagnosi di “Disturbo da Lutto Persistente Complicato” (DSM V).
Il vissuto nel Lutto Persistente Complicato è caratterizzato da un persistente desiderio e nostalgia della persona deceduta, tristezza e dolore emotivo intensi e sofferenza reattiva alla morte che si esplica come marcata difficoltà nell’accettare la perdita, incredulità o torpore emotivo, amarezza o rabbia in relazione alla perdita, valutazione negativa di sé in relazione alla morte della persona investita emotivamente con desiderio di morire per essergli vicino, con la sensazione che la vita sia vuota o priva di senso, il pensiero di “non farcela” e che una parte di noi stessi è morta insieme al deceduto.
Nonostante facciamo di tutto per scacciare il pensiero di chi abbiamo perso, la nostalgia che di lui ci riporta al pensiero consolatorio della persona stessa. Pensiero consolatorio che si traduce in azioni altrettanto consolatorie come il recarsi costantemente al cimitero, non buttare niente di ciò che possedeva, lasciare tutto come era prima della sua morte.
I definitiva è come se la mancata elaborazione del lutto ci consentisse di rimanere ancorati alla persona defunta tanto che l’idea di qualunque tipo di cura farmacologica o psicologica che sia viene rifiutata in quanto vista come qualcosa che può lenire il dolore e concorrere ad un potenziale distacco dalla figura amata.
dr.ssa Anna Carderi – anna.carderi@libero.it