Disturbo Borderline di Personalità e disregolazione emotivo-comportamentale: dalla psicopatologia dello sviluppo all’attuazione dell’intervento

Il trattamento del Disturbo Borderline di Personalità rappresenta a tutt’oggi una sfida sia in ambito clinico sia di ricerca.
Nelle società occidentali, secondo recenti studi epidemiologici, il Disturbo Borderline di Personalità (DBP) presenta tassi di prevalenza, commorbilità e mortalità in rapido aumento.
Gli studi scientifici riportano una prevalenza della popolazione con DBP del 0.7-1.8% e una prevalenza clinica del 15-25% (Torgersen et al. 2001, Gunderson et al. 2014).
La prevalenza dell’utente con DBP target presenta una sintomatologia psicopatologica tendenzialmente cronica, talora associata a cambiamenti lenti, se e quando presenti.

Come per gli altri disturbi di personalità, il DBP presenta un corollario sintomatologico estremamente variabile in cui emergono sintomi specifici come i tentativi di suicidio, autolesionismo, automutilazioni, abbuffate di cibo, sesso e sostanze d’abuso; sentimenti di abbandono, stati dissociativi in commorbidità con umore depresso e comportamenti evitanti. Spesso sono utenti che presentano una compromissione dei comportamenti e delle relazioni interpersonali unitamente ad una compromissione stato-dipendente delle loro capacità di mentalizzazione e di metacognizione.

Emotivamente instabili e caotici intessono relazioni intime, altamente instabili e di dioendenza, che si muovono sul continuum del tutto o niente, che va dalla forte idealizzazione alla forte svalutazione dell’altro, dal coinvolgimento, all’allontanamento.

La disregolazione emotiva propria del DBP fa si che la persona si senta pervasivamente in balia delle proprie mutevoli emozioni.

L’ipersensibiltà che contraddistingue le persone con DBP le rende poco tolleranti alla frustrazione per cui ciò che viene avvertito come mancanza di attenzioni, abbandono, rifiuto e critica, elicita reazioni di rabbia, ansia e aggressività esagerate che possono evolvere in agiti lesivi o autolesivi.
In un campione di pazienti con DBP, ricoverati consecutivamente presso l’Università di Pittsburgh, il 62,2 % aveva avuto, in passato, condotte suicidarie e circa il 50% aveva avuto altri comportamenti autolesivi. Il numero di pazienti con DBP che si era ucciso variava tra il 3 % e il 9,5% della popolazione di pazienti trattati, una percentuale simile a quell’evidenziata nei soggetti affetti da disturbi depressivi o da disturbi psicotici (Widiger).

Da qui l’evidente necessità di attuare trattamenti adeguati ed efficaci del DBP.
A tal fine, per questo, come per altri disturbi (narcisistico, evitante, antisociale, paranoide) di personalità, si richiede una elevata competenza al fine di evitare condotte di espulsione. Di fatto, questi utenti tendono ad elicitare nel clinico e negli operatori reazioni che seppur diverse tra loro (espulsione, contenimento, eccessiva responsabilizzazione o colpevolizzazione), ricalcano cicli interpersonali problematici, mantenendo e alimentando la patologia in essere (Semerari, 2006; Carcione, Semerari, Nicolò, 2016) in senso peggiorativo.

I modelli evidence – based (Soffers-Winterling, 2012), in accordo con le linee guida NICE (2009), considerando il ricovero e l’intervento farmacologico di default come trattamenti collaterali, danno priorità al percorso psicoterapico. La letteratura (Olfson, 2017) in proposito evidenzia di fatto come il ricovero non sia preventivo del comportamento suicidario. Tanto più se alle dimissioni (Olfson, 2017) non c’è una rete di sostegno ambulatoriale ad accogliere l’utente “difficile”.

Da questo si evince quanto sia essenziale una specifica formazione di coloro che accolgono la prima richiesta dell’utente che consenta di vedere, gestire e interrompere il loop del ciclo patologico.

Aderendo alle Linee Guida NICE 2009, dobbiamo necessariamente collimare sull’idea che chi prende in cura un paziente borderline deve essere formato al compito con la peculiarità di indirizzare il trattamento verso un approccio di comprovata validità scientifica quale ad esempio la terapia dialettico-comportamentale.

La Dialectical Behavior Therapy (DBT) è un approccio Cognitivo-Comportamentale, sviluppato da Marsha M. Linehan, riconosciuto come il trattamento psicoterapeutico gold standard per pazienti a grave rischio suicidario e con disturbo borderline di personalità. La ricerca empirica ha ampiamente dimostrato l’efficacia della DBT nel trattamento del Disturbo Borderline di Personalità, in particolar modo nel ridurre i comportamenti suicidari ed autolesivi, i ricoveri in ambiente psichiatrico, l’abbandono delle cure, l’abuso di sostanze, la disregolazione emozionale e le difficoltà interpersonali. Tutto ciò si traduce in una diminuzione dei giorni di ospedalizzazione e accessi in pronto soccorso (Linehan M. et al. 2015, 2006, 2002, 1999 Verheul R. et al. 2003 Van den Bosch L.M.C. et al. 2005 Turner R.M. 2007).

Dr.ssa Anna Carderi

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