Troppo spesso le pagine di cronaca nera assumono i colori dell’uxoricidio.
All’origine, possiamo ritrovare la perdita dell’oggetto amato. Tale rifiuto se vissuto come una sconfitta può far emergere vissuti frustranti di tipo fallimentare tali da innescare meccanismi di riconquista di tipo aggressivo.
La persona che si percepisce tradita, abbandonata, sfruttata, vilipesa, ed anche semplicemente non più corrisposta in una reciproca implicazione affettiva, può denunciare il suo malessere in modo violento. Così l’amore iniziale si trasforma in un successivo odio punitivo che in casi estremi può evolvere e sfociare nell’atto punitivo stesso e manifestarsi attraverso le percosse, le lesioni personali giungendo financo all’omicidio.
L’aggressione dell’altro ha il significato di rivolta, affermazione personale e soprattutto quello di effettuare un’opera di restituzione di tutte le frustrazioni, del dolore, della vergogna, dell’ansietà ed dei timori che il sentirsi abbandonato e quindi rifiutato comporta.
In alcuni casi la violenza agita può avere lo scopo di risolvere e tenere sotto controllo una situazione reale fortemente ansiogena e rimarcare la propria affermazione personale.
L’azione violenta rappresenta una conquista di prestigio, un riconoscimento delle proprie capacità, una manifestazione di seduzione e controllo sulla persona rifiutante. La persona può utilizzare la violenza per ricattare,estorcere e controllare i comportamenti dell’altro a proprio favore.
Si può assistere così ad un crescendo di tensione emotiva, che inevitabilmente determina rabbia e risentimento gravi, o induce il paziente a porre in atto gesti aggressivi o condotte di tipo omicidio-suicidio.
dr.ssa Anna Carderi