Bruciore, dolore, difficoltà nei rapporti sessuali che dura da almeno 3 mesi in assenza di lesioni clinicamente evidenziabili, questo il mix sintomatologico proprio della vulvodinia
Se pur molto frequente (8%-12%) nelle donne tra i 20 e 40 anni, se ne parla poco, la si conosce poco e spesso gli stessi medici non hanno familiarità con questo disturbo, non lo riconoscono e lo sottovalutano, inquadrandolo così come di origine psicosomatica, perché al dolore e al bruciore non si associa alcuna lesione fisica riconoscibile, a parte l’arrossamento del vestibolo ….
…. E per la donna, il più delle volte, prima di giungere ad una diagnosi corretta e alla conseguente cura, inizia una via crucis che sembra essere interminabile. Come interminabile la proporzione del dolore, del bruciore e del fastidio che la vulvodinia può produrre e che è tale da interferire con la qualità della vita sociale, relazionale e sessuale della donna.
Il dolore, di entità soggettivamente variabile, può essere generalizzato o localizzato nella regione vulvare, provocato o spontaneo.
Si parla di vulvodinia localizzata quando il disturbo interessa una specifica zona vulvare come, ad esempio, il vestibolo vaginale (vestibolodinia) o il clitoride (clitorodinia) e generalizzata quando il disturbo interessa gran parte della regione vulvare (perineo e regione anale compresi). Inoltre avremo una vulvodinia provocata (dal contatto, dalla penetrazione o dallo sfregamento) o spontanea dove la presenza dei sintomi prescinde dal contatto.
La vulvodinia disestetica o essenziale, invece, è la forma più frequente di vulvodinia nel periodo post menopausa e il dolore si estende al retto ed alla zona uretrale, oltre che alla vulva.
Altri segni che completano la sindrome sono irritazione, sensazione di abrasione o di punture di spillo, secchezza, tensione, bruciore, percezione di avere dei tagli sulla mucosa.
Tra le possibili cause, vi sono: uso di contraccettivi orali (in particolare drospirenone), allergia, malattia autoimmunitaria, simili al lupus erythematosus, tensione cronica o spasmi dei muscoli dell’area vulvare e perineale, infezione, ferite, sensibilità chimica e neuropatia. Alcuni casi sembrano effetti negativi di chirurgia genitale, come la labiectomia. Un ruolo fondamentale nello sviluppo della vulvodinia sembra sia da attribuirsi a un mediatore proinfiammatorio detto mastocita. Tale mediatore ha la funzione di scatenare la reazione infiammatoria, in risposta a qualsiasi danno, infettivo, chimico o fisico. Nelle donne con vulvodinia il mastocita è sovraregolato, ciò significa che l’area vulvare è perennemente infiammata anche in assenza di una reale minaccia per l’organismo, ovvero che è sufficiente uno stimolo innocuo a scatenare la risposta infiammatoria.
Spesse volte, le donne affette da questo disturbo presentano una predisposizione genetica alle infiammazioni, ed è stato verificato che le fibre presenti nel nervo della zona vestibolare e vulvare delle pazienti vulvodiniche sono molto numerose e voluminose.
Nonostante sia una sindrome nuoropatica e muscolo spastica eventi traumatici (visite ginecologiche o interventi laser traumatici, primi approcci sessuali traumatici, abusi e molestie sessuali), difficoltà relazionali e psicosessuali anche precedenti all’esordio della malattia, possono influire sull’eziologia, aggravamento e sul mantenimento della vulvodinia.
Inoltre, in reazione ai disturbi vulvari e all’ipersensibilizzazione del tessuto vestibolare le donne lamentano spesse volte alterazioni del desiderio sessuale, della risposta all’eccitazione e nel raggiungimento dell’orgasmo, “paura” della penetrazione, associato a dolore durante il rapporto.
Tutto ciò rende difficile gestire il rapporto affettivo e sessuale con il partner che spesso, inconsapevole della reale serietà del problema, pensa che la compagna “esageri” o che non voglia avere rapporti sessuali. In risposta a ciò la donna può assecondare le richieste sessuali del partner forzandosi al rapporto. Ciò, oltre a essere doloroso, stressa le mucose vulvovaginali, già infiammate e lese concorrendo ad aggravare la sintomatologia.
In questo scenario, la psicoterapia lungi dall’essere sintomatologicamente risolutiva mira al recupero delle capacità di gestione della malattia e alla cura dell’ansia, della depressione e delle difficoltà sessuali da essa determinate. Consente alla donna, di elaborare eventuali eventi traumatici e difficoltà psicosessuali precedenti la malattia che possono contribuire al mantenimento della stessa e di recuperare il controllo sul proprio corpo e quindi di percepirsi come adeguata rispetto al proprio ruolo sessuale.
Inoltre, l’aiuto offerto dallo psico-sessuologo consente alla donna di imparare tecniche di rilassamento come il training autogeno ed esercizi specifici atti a rilassare i muscoli perivaginali come la riabilitazione della muscolatura del pavimento pelvico.
Vista l’estrema eterogeneità e soggettività delle cause e dei fattori di aggravamento e mantenimento di ordine prettamente medico ma anche di gestione psicologica, va da se che la vulvodinia va affrontata insieme alla donna in un’ottica multidisciplinare in modo da gestire fattivamente la malattia con un trattamento che deve essere assolutamente personalizzato e focalizzato.
Un trattamento che includa ottemperanze sia di ordine medico sia di ordine psicologico. Le strategie terapeutiche atte alla cura della vulvodinia non possono essere limitate semplicemente alla cura dei sintomi, ma devono controllare anche gli aspetti fisiopatologici. Psicoterapia, farmaci antidolorifici, creme ad azione anestetica locale, riabilitazione (per correggere l’alterazione spastica della muscolatura perianale-vulvare), delicati interventi di chirurgia questo è il panorama di intervento che il mercato offre.
dr.ssa Anna Carderi